3 settembre 2023 – XXII domenica Tempo Ordinario 

Chi perderà la vita per causa mia, la troverà (Mt 16,25) 

Matteo ci presenta Gesù in cammino verso Gerusalemme. E, all’inizio di questo viaggio, si rivolge quasi esclusivamente alla cerchia ristretta dei discepoli e annuncia loro che a Gerusalemme l’attendono la sofferenza e la morte.  

L’insegnamento di Gesù si sviluppa in due momenti: in un primo quadro Gesù presenta il doloroso destino che l’attende nella città santa e la reazione di Pietro a tale annuncio. Il secondo quadro presenta un’istruzione sul seguire il Maestro, costituita da una catena di cinque affermazioni. Tra i due quadri si nota una corrispondenza tra il destino di Gesù e il cammino proposto ai discepoli: alla sofferenza e morte di Gesù fa riscontro la croce dei discepoli; all’annuncio della risurrezione fa riscontro la promessa della venuta gloriosa del Figlio dell’uomo.  

Gesù sembra fermare il cammino e ai discepoli, ancora impigliati nei sogni di un messianismo popolare glorioso, propone tre frasi “scandalose”. La prima ha al centro la croce, che il Cristo vede già profilarsi al suo orizzonte: il discepolo deve seguire il Maestro anche in questa spogliazione totale. La seconda e la terza frase di Gesù si costruiscono in una coppia di verbi antitetici: da un lato c’è il “perdere”, dall’altro il “salvare-guadagnare”. Il mondo considera il primo verbo come tipico degli sconfitti, degli stolti, degli inetti; mentre il secondo, quello del guadagnare e dell’avere, lo coniuga in mille modi e tempi, considerandoli il segno del successo, dell’intelligenza e della felicità.  

Cristo ribalta radicalmente questa concezione e nel perdere, nel donare, nel liberarsi dall’egoismo e dalle cose, vede il segno di un trovare, vede la via per una conquista straordinaria. È un perdere “per causa mia”, è un perdersi per il Cristo, per i fratelli, per trovare la vera vita. È quel “dare la vita per la persona amata” (Gv 15,13), è quel consegnare senza risparmio se stessi, le proprie energie, il proprio tempo, i propri beni ai fratelli, che ci costituisce come veri discepoli. È l’essere dono che ci permette di realizzare pienamente noi stessi. Proviamo!

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