13 ottobre 2019 – 28ª domenica t. ord.

2Re 5,14-17 / 2Timoteo 2,8-13 / Luca 17,11-19

Si prostrò davanti a Gesù per ringraziarlo (Lc 17,16)

La guarigione del lebbroso Naaman ad opera del profeta Eliseo (1a lettura) e quella dei dieci lebbrosi ad opera di Gesù (vangelo) sono i segni presentati dalla liturgia odierna a testimonianza dell’intervento d’amore di Dio nella storia umana. La risurrezione di Gesù poi è la prova della sua travolgente vittoria finale (2a lettura).

Incontrarci con i profeti di Dio non può essere che un momento di salvezza e di liberazione. Come lo fu per Naaman il siro quando incontrò il profeta Eliseo, così fu per i dieci lebbrosi del vangelo odierno quando incontrarono Gesù.

La lebbra era per gli Ebrei segno di condanna celeste e di peccato e si traduceva nell’esclusione dalla vita sociale. Purificando questi infelici dalla lebbra, Gesù li reinserisce nella società e dimostra che in lui si è fatto presente il regno di Dio e il superamento di ogni forma di schiavitù e di emarginazione. Con lui Dio non è più lontano, ma per strada, in casa, nel posto di lavoro, incarnato nell’uomo. Con lui ci si apre alla speranza e si ritorna a lodare Dio. Come ha fatto il lebbroso samaritano: percorre la strada di ritorno a Gesù “glorificando Dio”. Ha colto nella sua vita non solo la guarigione fisica, ma un intervento di Dio. E, arrivato davanti a Gesù, compie un atto di profonda venerazione: “si prostrò davanti a Gesù per ringraziarlo”.

Ringraziare significa credere che la nuova condizione non è frutto di una propria conquista, ma un dono ricevuto per pura benevolenza. Impariamo a ritmare di gratuità riconoscente la nostra vita. A Dio che ci ama “gratis” possiamo offrire l’unica nostra cosa “gratis”: la lode, il grazie.

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