18 agosto 2019 – 20a domenica t. ord.
Ger 38,4-6.8-10 / Eb 12,1-4 / Lc 12,49-53
Sono venuto a gettare fuoco sulla terra (Lc 12,49)
La pace portata dal Cristo non è una pace qualunquista, ottenuta anche a scapito della verità o della giustizia; in una parola, che sia contro l’uomo (vangelo). Scegliere il bene, annunciare la “scomoda” parola di Dio, contestare i prepotenti comporta sempre, come inevitabile conseguenza, la persecuzione (1a lettura). Per portare avanti sino in fondo il proprio impegno occorre perseveranza e lo sguardo fisso sull’esempio di Cristo (2a lettura).
Il vangelo odierno ci avvicina a Gesù gettando una luce nuova sulla sua persona. Gesù inizia il suo discorso con l’espressione “sono venuto”: essa introduce una dichiarazione con la quale egli indica lo scopo della sua missione. Egli in questo momento sta per dire una cosa importante: sta aggiungendo un altro aspetto che ci aiuta a capire per quale fine è venuto sulla terra e come sta portando avanti la sua missione. La parola chiave della sua dichiarazione è “fuoco”.
Nel linguaggio della Bibbia il fuoco richiama spesso l’aspetto di purificazione. Dio non vuole eliminare il malvagio assieme al male, ma purificarlo in vista di un nuovo inizio. Allora qui potremo cogliere l’ardente desiderio di Gesù di vedere il male superato attraverso il giudizio di Dio, che purifica e salva.
Ma il termine fuoco si può riferire anche alla parola di Gesù: egli desidera ardentemente che il suo messaggio trovi presto larga diffusione. Il desiderio di Gesù quindi è legato al compimento della sua missione: è il fuoco del sacrificio della croce gradito a Dio, è il fuoco dello Spirito donato ai credenti, è il fuoco che purifica i cuori e compie la giustizia di Dio. È il fuoco che riscalda i nostri cuori e ci rende famiglia di Dio; è il fuoco dell’entusiasmo nel vivere l’amore di Dio che diventa amore del prossimo; è il fuoco che “fa ardere i nostri cuori” (come ai discepoli di Emmaus) quando ascoltiamo e mettiamo in pratica la parola di Gesù.